la visita ad limina-1

la visita ad limina
e la chiesa copta cattolica
[1]

I

 

Introduzione

          L’istituto della visita ad limina e della relazione quinquennale è un segno visibile della comunione tra la Chiesa Patriarcale e la Sede Apostolica e allo stesso modo è un mezzo fondamentale per realizzare tale comunione.

          L’attuale articolo è diviso in quattro parti. Nella prima parte si presentano le origini e il successivo sviluppo storico della visita ad limina e la relazione quinquennale. Si passerà, poi, ad esaminare le fonti orientali di tale istituto.

Nella seconda parte si offrirà la legislazione della visita ad limina e della relazione quinquennale nel diritto particolare della Chiesa Copta Cattolica.

Nella terza parte si sottolineano gli aspetti ecclesiologici della visita ad limina e della relazione quinquennale.

Infine, nella quarta parte, si evidenzierà il regolamento generale di un tale istituto.

Art. 1 Origini e fonti della visita ad limina

          Prima di studiare le origini e le fonti della visita ad limina nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, si presenta la loro normativa canonica.

1. Normativa canonica

          I cann. 206- 208 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, trattano la relazione quinquennale che i vescovi debbono presentare al Patriarca ed alla Santa Sede nonché la visita all’Urbe, detta anche visita ad limina.

          In modo particolare, i cann. 206- 207[2] riguardano la relazione quinquennale sullo stato e le necessità dei fedeli cristiani dell’eparchia. Il vescovo eparchiale che svolge la sua potestà entro il territorio di una Chiesa Patriarcale, è tenuto a presentare la relazione quinquennale al Patriarca ed a inviarne una copia alla Sede Apostolica[3]. Tutti gli altri vescovi eparchiali sono tenuti allo stesso dovere, presentando, però, la relazione quinquennale direttamente alla Sede Apostolica e, se si tratta dei vescovi di una Chiesa Patriarcale o di una Chiesa Metropolitana sui iuris, debbono inviarne successivamente una copia al Patriarca o al Metropolita. Una tale relazione deve contenere informazioni riguardanti lo stato, le condizioni e le necessità dei fedeli che sono affidati alla cura del vescovo entro il cui territorio detti fedeli hanno il domicilio, il quasi domicilio o la semplice dimora di girovaghi (cfr. cann. 911 e 916)[4]. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali lascia invece la possibilità al relativo Sinodo dei Vescovi di ogni Chiesa Patriarcale,  di stabilire ed emanare il formulario della relazione quinquennale.

          Il can. 208[5] tratta la visita all’Urbe. In genere, – anche se il Codice dei Canoni delle Chiese Orientale non lo dichiara-, la relazione quinquennale deve essere presentata con la visita ad limina.

          Il vescovo eparchiale che esercita la sua potestà entro i confini dell’eparchia patriarcale, deve compiere tale visita entro cinque anni dalla sua intronizzazione, possibilmente insieme al Patriarca. È da notare che il canone non specifica l’obbligo della ripetizione di tale visita, perché la sua finalità, come afferma il can. 208 § 1 “è venerare le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e presentarsi al successore di san Pietro nel primato sulla Chiesa Universale”.

          Tutti gli altri vescovi eparchiali, sono invece tenuti alla visita ad limina, ogni cinque anni, e la possono compiere personalmente o tramite procuratore, nel caso di legittimo impedimento. Si raccomanda comunque che almeno qualche volta essa venga fatta insieme al Patriarca, il quale secondo il can. 92 § 3, è tenuto a compiere la visita all’Urbe entro un anno dalla sua elezione e in seguito più volte durante la sua funzione[6].

2. La storia dei cann. 206- 208[7]

Si presenta, ora, un panorama storico – senza pretendere che questo panorama sia esaustivo nè completo – dell’itinerario della presa di coscienza della Chiesa Universale durante i secoli, dell’importanza della visita ad limina e della relazione quinquennale. Si cercherà anche di evidenziare alcune lettere indirizzate alle Chiese di Rito Orientale da parte della Sede Apostolica circa l’argomento e la reazione a queste lettere da parte dei vari Riti Orientali.

a. Accenno biblico e i primi tre secoli

Sebbene non abbiamo una data concreta, neanche approssimativa, in cui situare la nascita della visita ad limina, troviamo tuttavia le sue radici nella lettera di san Paolo ai Galati quando egli racconta la propria esperienza personale, cioè la sua conversione e la sua missione verso i pagani dicendo: ”In seguito…andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi da lui quindici giorni…” (Gal. 1,18). Paolo, dunque, prima di iniziare il suo ministero di Apostolo, va ad incontrare Pietro per consultarlo. Nella stessa lettera troviamo ancora: “Dopo quattordici anni andai di nuovo a Gerusalemme…esposi loro il Vangelo che io predico tra i pagani…per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano” (Gal. 2,1- 2)[8]. E’ noto, inoltre, che fin dai primi secoli i cristiani venivano in pellegrinaggio a Roma, per visitare e venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo.[9]

In seguito, alcuni studi sul tema[10] sostengono che le radici di tale visita si trovano nei sinodi provinciali che si convocavano almeno due volte l’anno per discutere le questioni importanti.

b. Dal IV secolo fino al Concilio di Trento

Nell’ anno 343 il sinodo di Sardica[11], l’odierna Sofia, inviò una lettera al Papa Giulio (337- 352), con il titolo, “Quod sempre ad Iulium urbis Romae episcopum”, in cui i Padri sinodali dichiaravano: «Questa infatti risulterà essere la cosa migliore e più appropriata: se i sacerdoti del Signore da tutte le singole province facciano riferimento al capo cioè alla sede dell’Apostolo Pietro»[12]. È chiaro che da questa lettera non possiamo dedurre il dovere della visita ad limina o della relazione quinquennale dei vescovi in tutto il mondo, però troviamo almeno, conferma della consuetudine di informare il vescovo di Roma della situazione nelle diverse province.

In seguito il Papa san Gregorio Magno (590- 604) ricordò a Cipriano, suo legato, l’antica consuetudine praticata dai vescovi della Sicilia, secondo la quale ogni tre anni essi visitavano Roma[13]. Per motivi pratici, quali la distanza considerevole da percorrere, e l’evitare lunghe assenze dalla propria eparchia, il Papa san Gregorio Magno stabilì che la visita all’Urbe per detti vescovi cadesse ogni cinque anni[14].

Nell’anno 743 il concilio Romano convocato dal Papa Zaccaria, emanò nuove disposizioni per la visita all’Urbe[15]. In seguito Gregorio VII (1073- 1085), nel sinodo Romano del 1079, fissò che, prima della consacrazione, il vescovo dovesse giurare di adempiere la visita all’Urbe ogni anno personalmente o per mezzo di un legato[16]. Durante il Pontificato del Papa Pasquale II (1099-1118), l’arcivescovo eletto di Spalato, in Dalmazia, manifesta la sua sorpresa per il giuramento che gli veniva domandato: allora il Papa Pasquale II ribadì l’obbligo della visita dei vescovi, anche per quelli delle regioni più distanti[17].

Durante il suo pontificato “fu Gregorio IX che nel 1234 con la Costituzione Apostolica Rex pacificus dava forza di legge all’obbligo del giuramento, in modo che l’obbligo della visita ad limina sorgesse dalla virtù di religione, anche se non ancora da una legge che lo imponesse”[18].

Alla soglia del concilio di Trento, alcuni vescovi espressero il loro parere al Papa Paolo III (1534-1549) facendogli notare che la visita all’Urbe costituiva un grave impedimento per la residenza dei vescovi nelle loro diocesi. Gli stessi vescovi suggerirono che la visita ad limina avvenisse ogni tre o cinque anni, a seconda della lontananza della diocesi[19]. Il concilio di Trento si interessò dell’argomento e “la visita ad limina fu inclusa nel denso programma di riforme promesse dai papi post-tridentini, in relazione al ministero pastorale dei vescovi”[20].

c. Dal Concilio di Trento fino al Codice del 1917

Fu il Papa Sisto V (1585-1590), nonostante il suo breve pontificato, ad imporre una legge per tutti i vescovi per ciò che concerne  la visita ad limina con la Costituzione Apostolica Romanus Pontifex del 20 dicembre 1585[21]. Il Papa Sisto V mutò in legge l’antica abitudine di visitare la città eterna e impose ai vescovi il dovere di informare periodicamente il Papa sulla situazione delle rispettive diocesi.

Lo stesso Papa stabilì, inoltre, che “tutti i patriarchi, i primati, gli arcivescovi e i vescovi, come anche i cardinali, prima di essere consacrati, di ricevere il pallio o di essere trasferiti ad altre sedi, giurassero di adempiere fedelmente la visita personale ai sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo e quella al Pontefice, intesa a informarlo sul loro ministero pastorale e a ricevere le necessarie istruzioni, tanto del papa come dei dicasteri della curia romana.”[22] Mentre i vescovi che per un impedimento grave e legittimo non possono adempiere un tale dovere personalmente, possono delegare un canonico o un sacerdote, “di riconosciuto prestigio”[23] al loro posto. Il vescovo che mancasse di adempiere tale dovere senza nessun motivo legittimo, grave e documentato, sarebbe passibile di pena.

La pena prevista per chi mancasse a tale dovere sarebbe la sospensione ipso facto dall’amministrazione della diocesi e addirittura la sospensione ab ingressu ecclesiae. La pena rimarrebbe in vigore fintanto che non venisse assolta dalla Sede Apostolica.

In questo documento si noti il cambio di linguaggio e la severità nel caso in cui i vescovi non adempiano tale obbligo. Ciò è giustificato dal fatto che la chiesa ha cercato di difendersi dal protestantesimo e dal calvinismo, centralizzando la sua autorità. Infatti questo fu un centralismo nuovo e in certo senso diverso dal centralismo del periodo precedente del medioevo[24]. Un centralismo realizzato, anche, tramite la visita ad limina, per controllare i vescovi[25].

Partendo dal secolo XVIII vari papi, durante il loro pontificato, effettuarono diversi cambiamenti e rinnovamenti riguardo il modo con cui veniva adempiuta la visita all’Urbe e la presentazione della relazione dovuta. Una delle modifiche di maggiore rilievo è stata quella di Benedetto XIII(1724- 1739) che stabilì i punti fondamentali che i vescovi dovevano trattare nella relazione[26].

In seguito, e dopo la Sua elezione, il Papa Benedetto XIV volle immediatamente ribadire l’importanza di tali norme emanate dai suoi predecessori per la visita ad limina e per la relazione. Infatti espresse tale suo desiderio colla Costituzione Apostolica Quod Sancta, del 23 novembre 1740[27].

Per quanto riguarda le Chiese Orientali, anche se non erano tenute, come obbligo, ad adempire la visita ad limina, il Papa Pio IX nella sua lettera “Amantissimus umani generis de cura et sollecitudine in Ecclesiarum orientalium bonum”[28], dell’ 8 aprile 1862, scrive a tutti i Patriarchi, gli Arcivescovi e i vescovi delle Chiese di rito orientale, per portare alla loro memoria la necessità che la Santa Sede Apostolica debba essere informata sulla situazione del gregge affidato alla loro cura, per poterli meglio aiutare. Infatti, accogliendo la precedente lettera Papale, alcuni sinodi orientali[29]– che saranno studiati come fonti per i cann. 206-208- hanno trattato l’argomento, confermando, sia la necessità della visita all’Urbe, sia l’obbligo della relazione periodica per informare la Santa Sede sulla situazione delle loro Chiese.

Ulteriori innovazioni[30], riguardanti le scadenze della visita all’Urbe, e della relazione quinquennale, furono apportate tramite il Codex del 1917 nei cann. 340-342.

d. Dal Codex del 1917 fino al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

Con i cann. 340-342 del Codice del 1917 viene confermato il dovere per i vescovi diocesani della visita all’Urbe e della relazione quinquennale. Bisogna notare però, che un tale obbligo derivante da questi canoni riguardava solo i vescovi della Chiesa Latina, come afferma il can. 1 dello stesso Codice[31].

Per le Chiese di Rito Orientale, si nota che nella prima codificazione del Codice per le Chiese Orientali (1929 – 1948), viene confermato un tale obbligo come dovere fondamentale del Patriarca e dei suoi Vescovi. Si stabilisce che “tutti i Patriarchi sono tenuti ad adempiere la visita ad limina secondo il tempo stabilito dalla Sede Apostolica”[32]. Tale codificazione viene presa e promulgata nel Motu proprio di Pio XII Cleri Sanctitati del 1957. Il Papa Pio XII utilizza come fonti il Sinodo di Alessandria del 1898 e quello degli Armeni del 1911 per confermare un tale dovere per i vescovi delle Chiese di Riti Orientali, stabilendo che l’obbligo di presentare la relazione alla Sede Apostolica e di adempiere la visita ad limina viene fatto ogni cinque anni[33].

Per quanto riguarda il Concilio Vaticano II, si nota che lo stesso non ha emanato nessun documento concernente la visita all’Urbe o la relazione quinquennale dei vescovi. Molti documenti postconciliari, invece, sono stati emanati proprio per regolare la relazione tra il Papa e i vescovi. Eccone alcuni esempi di questo genere; il decreto Ad Romanam Ecclesiam, emanato il 29 giugno 1975 dalla Congregazione per i vescovi; il Codice latino del 1983 nei cann. 399-340; la Costituzione Apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II del 28 giugno 1988; inoltre un Adnexum I alla stessa Costituzione per evidenziare l’importanza pastorale della visita all’Urbe. Un altro documento importante è stato quello della Congregazione per i vescovi del 29 giugno 1988 con il titolo Direttorio per la visita « ad limina », il quale ha un allegato con tre note: una teologica, una spirituale pastorale, e una storica giuridica.

Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali riprende i cann 405- 408 del Motu proprio Cleri Sanctitati come base  e dopo averli modificati, emana i cann. 206- 208.

Si nota infatti che nella seconda codificazione del Codice delle Chiese Orientali (1972 – 1990), sono state fatte delle modifiche notevole riguardo tale istituto. Tale modifiche sono: la relazione che deve essere presentata dal vescovo eparchiale ogni cinque anni, non viene presentata solamente alla Sede Apostolica ma viene presentata al proprio Patriarca e mandata in coppia alla Sede Apostolica. Inoltre, la visita ad limina viene raccomandata di essere adempiuta dal vescoco eparchiale non da solo ma con il proprio Patriarca[34].

e. Il Magistero dal 1990 fino ai nostri giorni

Dopo l’entrata in vigore del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, notiamo che ci sono due documenti che hanno trattato – anche se in modo marginale – l’argomento della visita ad limina. Essi sono l’Esortazione apostolica Pastores gregis di Giovanni Paolo II[35] e il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum successores, emanato dalla Congregazione per i vescovi[36].

La visita ad limina e la relazione quinquennale vengono evidenziati in questi due documenti nei capitoli che riguardano la sollecitudine del Vescovo verso la Madre Chiesa Universale, per una maggiore e piena comunione. È significativo il fatto che l’Esortazione apostolica affermi che “Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione tra i vescovi e la Cattedra di Pietro sono le visite ad limina Apostolorum[37]. In pratica, entrambi i documenti citati non modificano il regolamento precedente ma cercano di dare un ulteriore approfondimento del senso spirituale e pastorale della visita ad limina e della relazione quinquennale.

3. Le fonti[38] dei canoni 206-208

Ora si presentano, in ordine cronologico e nei loro particolari, le varie fonti, per analizzare in che modo questi canoni siano stati influenzati da ognuna di esse. In seguito si cercherà di sottolineare alcune considerazioni riguardanti le problematiche sollevate delle fonti.

a. La Congregazione Propaganda Fide, 12 novmbre 1696[39]

Ordinando cronologicamente le fonti offerte dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, riguardo i cann. 206- 208, troviamo come prima fonte questa lettera dalla Congregazione Propaganda Fide. Essa contiene la risposta alla richiesta di Mons. Zalenski, Metropolita della Russia, di essere dispensato dall’obbligo di venire ad limina ogni quattro anni. Ecco il testo della risposta:

Mons. Zalenski Metropolita della Russia supplica l’EE. VV. d’essere dispensato dall’obbligo di adempiere la visita ad limina ogni quattro anni, non potendo ciò fare per la sua povertà e per gli impegni nella sua diocesi che richiedono sempre la sua presenza.- Cum D. Secretario Concilii iuxta mentem, et mens est posse indulgeri ut visitet mediante persona Romae commorante.[40]

Da questa risposta della Congregazione Prop. Fide, si possono notare due cose: la prima che già c’era l’obbligo della visita ad limina prima dell’anno 1696 la cui scadenza era fissata ogni quattro anni. La seconda che per motivi gravi e legittimi, la visita ad limina poteva essere dispensata.

Tutto ciò ha avuto la sua applicazione nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, in quanto il canone 208 stabilisce che la visita deve essere fatta ogni cinque anni e non più ogni quattro, e che per motivi legittimi, la visita può essere adempiuta da un altro in rappresentanza del vescovo.

b. L’Epistola, Amantissimus umani generis de cura et sollecitudine in Ecclesiarum orientalium bonum di Pio IX, dell’anno 1862

L’Epistola è indirizzata a tutti i Patriarchi, gli Arcivescovi e i vescovi delle Chiese di rito orientale. La sua struttura, si può dire, è tipica di quel periodo. Il primo paragrafo inizia parlando dell’istituzione e del fondamento della Chiesa e della sua unicità. Tratta anche del primato di Pietro e del suo Successore, il Papa, fondamento e garante dell’unità della Chiesa. In seguito, il secondo paragrafo è una dimostrazione per la dottrina del primato in cui si usano dei riferimenti biblici e degli accenni storici dei Padri orientali e dei vari sinodi. Nel terzo e nei successivi paragrafi si afferma che la diversità dei riti e delle tradizioni non contraddicono di fatto, l’unicità della Chiesa e l’unione della Fede.

L’epistola dichiara chiaramente che mai è esistito da parte della Santa Sede, un desiderio o pensiero di latinizzazione dei riti orientali, e invita, così, gli orientali a stare attenti a non cadere nell’inganno con il quale alcuni cercano di rompere i vincoli della Comunione tra i vari riti orientali e la Chiesa di Roma. Poi fa notare la cura paterna del Pontefice verso questa parte del gregge e, per potere continuare una tale cura e aiuto per le Chiese Orientali, il Papa ritiene necessario che la Santa Sede debba essere informata della situazione del gregge affidato alla cura di tutti i patriarchi, gli arcivescovi e i vescovi delle Chiese di rito orientale. Infine, il Papa continua ad incoraggiarli nel loro ministero Apostolico per il bene del gregge.

Ora si riportano alcuni passi dall’Epistola per poter analizzare la loro successiva applicazione nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

“E poiché a voi, venerabili fratelli, è pienamente nota la condizione e lo stato del gregge affidato alla vostra cura, sapete bene anche, grazie alla vostra saggezza, che è assai necessario che voi ci informiate, con la maggiore diligenza possibile, su tutta le questioni che riguardano le vostre chiese e il vostro gregge, e che ci mandiate un’accurata relazione sullo stato delle vostre diocesi, nella quale si esponga con cura tutto ciò che si riferisce alle diocesi stesse, in modo che noi possiamo provvedere con tutta diligenza alle necessità dei fedeli che si trovano nelle stesse diocesi”[41]

Da questo passo notiamo la necessità del fatto che la Sede Apostolica debba essere informata dalla situazione del gregge affidato alla cura di tutti i Patriarchi, gli Arcivescovi e i vescovi delle Chiese di rito orientale, ma allo stesso tempo l’Epistola non dice se questa relazione debba essere periodica, o secondo le occasioni. Il Papa approfitta della festa della Pentecoste, in cui saranno canonizzati alcuni santi, per invitarli a venire a partecipare alla solenne celebrazione, e avere così l’opportunità per discutere sulla relazione già preparata. Dice infatti:

“Quanto ci sarà gradita la presenza dei venerabili fratelli sacri prelati nella solenne canonizzazione di vari santi che con l’aiuto di Dio celebreremo nel prossimo giorno della Pentecoste, così ci sorregge la speranza che in tale occasione, se lo consentiranno gli impegni delle vostre diocesi, potremo vedervi personalmente e abbracciarvi affettuosamente e ricevere da voi stessi le relazioni concernenti le vostre diocesi”[42]

Mentre per quanto riguarda il contenuto della relazione, l’Epistola afferma che:

“sarà certamente per noi motivo di somma consolazione se ciascuno di voi, venerabili fratelli, ci riferirà diligentemente tutti i problemi della propria diocesi: quanti fedeli dimorino nella stessa diocesi; quanti siano gli ecclesiastici che affrontando i doveri del proprio ministero assistano gli stessi fedeli; quale il modo di comportarsi di quel fedeli sia circa la fede, sia cerca l’onestà dei costumi; quale sia la preparazione dottrinale del clero e quale la formazione dello stesso clero…..”[43]

Dal passo precedente si nota che l’Epistola ha stabilito alcune questioni precise, di cui il Papa vuole essere informato.

Per quanto riguarda l’applicazione delle fonti al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, si nota che il can 206 § 2 stabilì l’obbligo dei vescovi di rendere una tale relazione, mentre, riguardo al contenuto, il can 206 § 1 ha lasciato al sinodo dei vescovi della Chiesa Patriarcale la facoltà di stabilirlo.

c. Il sinodo provinciale di Albo – Iolain Fakrash del 1872[44]

Al titolo II, il capitolo IV, n. 3 dal sinodo provinciale di Albo – Iolain, si parla del dovere di rispettare la potestà del governo e all’interno si trova questo passo:

3. Quod autem potestatem Regiminis spectat, Episcopi iure pollent Synodos Dioecesanas convocandi, iis presidenti, statutaque totam Dioecesiam Dei regere positi praeter Synodum quoque emittenti regular disciplinares, quibus universus Clerus et populus obbedire tenetur, nacque Episcopus pervigilat, quasi rationem pro animabus illorum redditurus; ergo Episci ius habent ab hisce le gibus dispensandi quoque, imo facta ad S. Sedem Apostolicam repraesentatione, et obtente facultate, generales etiam, obversante necessitate utilitateque, leges suspendendi. ………. Item relationem staus suae Ecclesiae ad S. Congregationem de Propaganda Fide singulis quadrienniis mittere tenentur[45].

Qui si nota l’obbligo di presentare la relazione alla Congregazione de Propaganda Fide ogni quattro anni. È certo che questo passo ha avuto la sua applicazione nel can. 206 § 2 che stabilisce l’obbligo di presentare la relazione alla Sede Apostolica ogni cinque anni.

d. Il sinodo d’Alessandria del 1898[46]

Nella terza parte, intitolata de hierarchia iurisdictionis[47], al capitolo primo, articolo II e III del sinodo d’Alessandria del 1898, troviamo alcuni passi che servono come fonti per i canoni 206- 208.

III. Patriarca, Metropolita, et Episcopi, quolibet quinquennio ad sacra limina visitanda sese conferre debent rationemque Summo Pontifici reddere de propriae diocecesis regimine. Si vero nimia aetate vel infirma valetudin forte proibiti fuerint quominus tale iter suscipiant, poterunt per virum e clero suo electum mitere qui titulis ad munus istud recte explendum necessariis instructus sit[48].

Il passo è molto chiaro. Esso dichiara che il Patriarca, il Metropolita e i vescovi ogni cinque anni sono tenuti alla visita ad limina e a presentare la relazione alla Santa Sede riguardo la propria diocesi.

La sua applicazione nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali si nota sia nel can. 206 § 2 e sia nel can. 208  § 2. Essi stabiliscono l’obbligo della visita ad limina e della relazione per i vescovi eparchiali ogni cinque anni.

e. Il sinodo degli Armeni del 1911

Al titolo II, nel capitolo VI che è titolato De Episcopis, leggiamo questi due numeri 258 e 259 che riguardano l’argomento trattato.

258. Episcopus debet relationem quotannis mittere ad Patriarcham de sacerdotibus, de populo, sodalitiis, confraternitatibus, institutis et de spirituali statu dioeceseos suae in genere[49].

          Questo paragrafo afferma che il vescovo – è ovvio che questo è obbligatorio per i soli vescovi Armeni- è tenuto a presentare ogni anno al Patriarca una relazione con cui rende nota la situazione generale della sua diocesi, ed in particolare riguardo i suoi sacerdoti, il popolo, ecc.

Si noti l’applicazione di questo numero al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali nel Can 206  § 1, il quale stabilisce lo stesso obbligo del vescovo verso il Patriarca, senza entrare nel contenuto della relazione, ma estendendo il periodo a cinque anni.

Il numero seguente afferma:

259. completa autem ad normam sacrorum canonum pastorali dioecesis lustration, decimo quoque anno antiquissimae observantiae ac constitutioni Sixtinae inhaerentes, sanctorum apostolorum limina visitent episcopi, atque statusecclesiae suae rationem supremo pastori reddat iuxta instructionem S.C. de Propaganda Fide, sicuti solemni iuramento promiserunt[50].

Questo paragrafo ha avuto una applicazione nel canone 208 § 2, in quanto il canone stabilisce la visita ad limina per i vescovi e la relazione ogni cinque anni, diminuendo così il periodo da dieci anni a cinque anni.

f. Il Motu Proprio Cleri Sanctitati di Pio XII

Ora si presentano alcuni canoni dal M. P. Cleri Sanctitati per poter esaminare in che senso sono stati considerati come fonti per i canoni 206-208 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Can 405  § 1. Omnes Episcopi, etiam Patriarchae subiecti, debent singulis quinquenniis relationem Summo Pontifici facere super statu eparchiae sibi commissae secundum formulam ab Apostolica Sede datam; peculiari mentione facta de catechetica institutione.

§ 2. Episcopi patriarchae subiecti debent singulis quinquenniis relationem de statu suae eparchiae proprio Patriarchae quoque facere…..

§ 3. Quinquennia sunt fixa et communia, atque computantur a die 1 ianuari 1954; in primo quinquennii anno relationem exhibere debent Episcopi Europee, in secondo Episcopi Asiae, in terbio Episcopi Africae et in quarto Episcopi aliorum locorum.

§ 4. Si annus adexhibendam relationem assignatus incriderit ex toto vel ex parte in primum biennium ab inito eparchiae redimine, Episcopus eo casu a conficienda et exhibenda relatione abstinere potest.

Can 406. Episcopi, latini quoque ritus, Sacram Congregationem pro Ecclesia Orientali doceant, occasione relationis quinquennalis, de statue et necessitatibus coetuum fiedelium diversi orientalis ritus in suo territorio commorantium et Hierarcha sui ritus carentium.

Can 407. Omnes et singuli Episcopi eo anno quo relationem exhibere debent, ad Urbem, beatorum Apostolorum Petri et Pauli sepulcra veneratori, accedano et Romano Pontifici se sistant.

Can 408. Episcopus debet praedictae obligationi satisfacere per se vel per coadiutorem vel Auxiliarem si quem habeat, aut, ex iustis casusisa Sede Apostolica probandis, per idoneum presbyterum qui in eiusdem Episcopi eparchia resideat.

Questi sono i quattro canoni che trattavano la visita ad limina e la relazione quinquennale nel M.P. Cleri Sanctitati di Pio XII.

Con un semplice paragone con i canoni 206- 208 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, si può notare che i canoni del M.P. Cleri Sanctitati sono alla base dei canoni dell’attuale Codice, con alcune modifiche.

Infatti, per lo schema che è stato presentato da vari esperti nel diritto canonico orientale nel 1979, è stato preso come  punto di partenza e come base il M.P. Cleri Sanctitati riguardante il capitolo sui vescovi per il futuro Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [51].

g. La Costituzione Apostolica Pastor Bonus

I numeri degli articoli 28-32, raggruppati sotto il titolo “Visita ad limina” offrono alcune indicazioni per la visita ad limina e la relazione quinquennale, secondo il modo seguente:

Art 28. Secondo la veneranda tradizione e la prescrizione della legge, i vescovi, che sono a capo di chiese particolari, compiono nei tempi stabiliti la visita “ad limina apostolorum”, e in tale occasione presentano al Romano Pontefice la relazione circa lo stato della loro diocesi.

Art 29. Tali visite hanno un’importanza peculiare nella vita della Chiesa, in quanto costituiscono come il culmine della relazioni dei pastori di ciascuna chiesa particolare col Romano Pontefice. Egli, infatti, ricevendo in udienza i suoi fratelli nell’episcopato, tratta con loro delle cose concernenti il bene delle chiese e la funzione pastorale dei vescovi, li conferma e sostiene nella fede e nella carità. In tal modo si rafforzano i vincoli della comunione gerarchica, si evidenziano sia la cattolicità della Chiesa che l’unione del collegio dei vescovi.

Art 30. Le visite “ad limina” riguardano anche i dicasteri della curia romana. Infatti, grazie a esse si sviluppa e si approfondisce il proficuo dialogo tra i vescovi e la Sede Apostolica, si scambiano reciproche informazioni, si offrono consigli e opportuni suggerimenti per il maggior bene e il progresso delle chiese, oltre che per l’osservanza della comune disciplina della chiesa.

Art 31. Tali visite siano preparate con premurosa diligenza e in modo conveniente, cosicché i tre principali momenti, in cui consistono, ossia il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli Apostoli, l’incontro col Sommo Pontefice e i colloqui presso i dicasteri della curia romana, si effettuino felicemente e abbiano esito positivo.

Art 32. A tale fine, la relazione sullo stato della diocesi sarà inviata alla Sede Apostolica sei mesi prima del tempo fissato per la visita. Essa sarà esaminata con somma diligenza dai dicasteri competenti e le loro osservazioni saranno notificate a una speciale commissione costituita a questo fine, affinché di tutto si faccia un breve riassunto da tener presente nei colloqui.

L’articolo 28 parla dell’obbligo della visita all’Urbe e della relazione quinquennale per i vescovi, capi delle chiese particolari; un obbligo questo che deriva dalla tradizione e dalla legge. L’articolo 29 mostra l’importanza di queste visite, mentre l’articolo 30 riguarda il ruolo che la Curia Romana ricopre in tali occasioni. L’articolo 31 esorta ad una diligente preparazione degli incontri e l’articolo 32, infine, indica il tempo previsto per inviare la relazione e il percorso che questa dovrebbeseguire dopo essere stata inviata dalla Curia Romana.

Questi articoli vengono presentati come delle fonti per i canoni 206-208, più precisamente, l’articolo 32 per il canone 206 § 2 e gli articoli 28- 32 per il canone 208 § 2.

Notiamo che il can 206  § 2 stabilisce l’obbligo, per tutti gli altri vescovi eparchiali (per quelli cioè che non esercitano la loro potestà all’interno del territorio della Chiesa Patriarcale), di presentare la relazione quinquennale alla Sede Apostolica e, se si tratta dei vescovi di una Chiesa Patriarcale o una Chiesa Metropolitana sui iuris, di mandarne una copia al Patriarca o al Metropolita. Non parla, però, del tempo previsto per inviare la relazione, né del percorso che dovrebbe seguire la relazione da parte della curia romana dopo essere stata inviata dal vescovo. Perciò l’articolo serve, possiamo dire, come una ulteriore indicazione della pratica dell’invio della relazione.

Il can 208 § 2 stabilisce che tutti gli altri vescovi eparchiali devono adempiere ogni cinque anni la visita ad limina, (nel § 1 ha parlato del vescovo appena eletto), ma che la possono compiere personalmente o tramite procuratore, nel caso di legittimo impedimento, anche se si raccomanda che, almeno qualche volta, venga fatta insieme al Patriarca. Il canone fa riferimento ai precedenti articoli come fonti. Allo stesso modo, come nel passo precedente, gli articoli offrono un ulteriore approfondimento del senso e della pratica della visita ad limina. Di ciò si è servito il canone per stabilire la sua regola.

h. Considerazioni finali per le fonti

P. Ivan Zuzek[52] in un suo articolo[53], parlando della questione delle fonti, offre alcuni suggerimenti per il futuro Codice dei Canoni delle Chiese Orientali che non era stato ancora promulgato. Uno di questi suggerimenti consisteva nel fatto di non prendere in considerazione i sinodi orientali indetti negli ultimi tre secoli come fonti per il futuro Codice, perché, come afferma lo stesso canonista, erano stati influenzati dai latini. Bisogna, invece, andare alle tradizioni primitive e sopratutto bisogna scoprire le altre tradizioni delle varie Chiese Orientali e non limitarsi solamente a quelle bizantine[54].

Ora, dopo aver esaminato le fonti indicate dall’attuale Codice si evidenzia che la fonte più antica risale alla Sacra Congregazione de Propaganda Fide del 12 novembre 1696. Detta fonte mette in risalto- oltre l’esistenza, ancor prima dell’anno 1696, dell’obbligo di effettuare la visita ad limina- la necessità di richiedere una dispensa speciale per non adempierla. Altre fonti sono: l’Epistola Amantissimus umani generis de cura et sollecitudine in Ecclesiarum orientalium bonum di Pio IX del 1862 e quelle più recenti come il sinodo provinciale di Albo- Iolain Fakrash del 1872, il sinodo d’Alessandria del 1898, il sinodo degli Armeni 1911, il M.P. Cleri Sanctitati di Pio XII del 1957 e infine la Costituzione Apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II del 1988.

Si noti che anche se la maggioranza delle fonti riprese dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali risalgono agli ultimi tre secoli, queste non sono esaustive in quanto rafforzano storicamente tale istituto. Queste fonti sono una sistemazione di un abitus già praticato e realizzato nella Chiesa. Non bisogna, dunque, concepire questi canoni come canoni latinizzati imposti nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, o estranei alla codificazione orientale, bensì come dei canoni che conforme al Codice Latino 1983 e quindi parte dall’unico Corpo Canonico della Chiesa. Infatti essi esprimono l’unità e il riconoscimento de tutte le Chiese Orientali Cattoliche della gerarchia nella Chiesa, e dell’importanza della Comunione con la Sede Apostolica.

Nell’attuale articolo è stato presentato le origini e il successivo sviluppo storico della visita ad limina e la relazione quinquennale. Inoltre, sono state esaminate le fonti orientali di tale istituto.

Nel prossimo articolo si offrirà la legislazione della visita ad limina e della relazione quinquennale nel diritto particolare della Chiesa Copta Cattolica.

 


[1] Questo articolo è un estratto della tesi dottorale di padre Hani Bakhoum. La tesi è titolata: “Il rapporto tra la Chiesa Patriarcale e la Sede Apostolica: dalla codificazione di Pio XII fino al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali”, Pontificia Università Lateranense, Roma 2009.

[2] Can. 206  § 1 Episcopus eparchialis intra fines territorii Ecclesiae patriarchalis potestatem suam egercens tenetur singulis quinquenniis relationem Patriarchae facere circa statum eparchiae sibi concreditae secundum modum a Synodo Episcoporum Ecclesiae patriarchalis statutum; exemplar relationis Episcopus quam primum ad Sedem Apostolicam mittat.

§ 2 Ceteri Episcopi eparchiales singulis quinquenniis eandem relationem Sedi Apostolicae facere debent et, si de Episcopis alicuius Ecclesiae patriarchalis vel Ecclesiae metropolitanae sui iuris agitur, exemplar relationis Patriarchae vel Metropolitae quam primum mittant.

Can. 207  Episcopus eparchialis cuiuscumque Ecclesiae sui iuris, etiam Ecclesiae latinae, Sedem Apostolicam certiorem faciat occasione relationis quinquennalis de statu et necessitatibus christifidelium, qui, etsi alii Ecclesiae sui iuris ascripti, eius curae commissi sunt.

[3] Cfr. L. SABBARESE, Le Eparchia e i Vescovi, in Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 188.

[4] Cfr. Idem.

[5] Can. 208  § 1 Episcopus eparchialis intra fines territorii Ecclesiae patriarchalis potestatem suam exercens intra quinquennium a sua inthronizatione computandum visitationem ad Urbem peragat, si fieri potest una cum Patriarcha, sanctorum Apostolorum Petri et Pauli limina veneraturus atque sancti Petr successori in primatu super universam Ecclesiam se sistat.

§ 2 Ceteri Episcopi eparchiales singulis quinquenniis per se vel, si legitime sunt impediti, per alium visitationem ad Urbem peragere debent; si vero de Episcopis alicuius Ecclesiae patriarchalis agitur, optandum est, ut visitatio saltem aliquoties una cum Patriarcha fiat.

[6] Cfr. L. SABBARESE, Le Eparchie e i Vescovi, in Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 189- 190.

[7] Cfr. V. CARCEL ORTI, Nota Storico- Giuridico, in Direttorio per la visita «ad limina», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, 31-34.

[8] Cfr. G. GHIRLANDA, Il Diritto nella Chiesa Mistero di Comunione, 546 e J. RATZINGER, Nota Teologica, in Direttorio per la visita «ad limina», 19.

[9] Cfr. Cost. Ap. Pastor Bonus, n. 10, in AAS, 80 (1988), 853; Adnexum I, n. 2, 913-914; Direttorio per la visita «ad limina», 5.

[10] Cfr. J.J. CARROLL, The Bischop’s Quinquennial Report. A historical sypnopsis and a commentary, Washington 1956, 2 – 3; L. DE ECHEVERRIA, La Visita ad Limina. Commentario al decreto de 29 de junio de 1975, in Revista Espanola de Decrecho canonico, 32, 1976, 384.

[11] Per le vicende riguardanti questo Sinodo, cfr. H. HESS, The Canons of The Council of Sardica A.D.343, Oxford 1958.

[12] DS n.136.

[13] Cfr. V. CARCEL ORTI, Nota Storico- Giuridico, 31.

[14] Cfr. MIGNE, P. L., vol. 77, col. 875 e cfr V. CARCEL ORTI, Nota Storico- Giuridico, 31.

[15] Cfr. Mansi, t, XII, col. 382 e A. LONGHITANO, I Vescovi, in Il Diritto nel Mistero della Chiesa, II, a cura del gruppo italiano Docenti di Diritto Canonico, Pontificia Università Lateranense, Roma 1990, 385. 372 – 394.

[16] Per il testo cfr. DEUSDEDIT, Collecatio Canonum, ed. W. VON GLANVELL, Paderbon 1905, 599.

[17] Cfr. J. D. MANASI, XX, coll.984- 986

[18] G. GHIRLANDA, La Visita «ad limina Apostolorum», in La Civiltà Cattolica, 140/II (1989), 360.

[19] Cfr. V. CARCEL ORTI, Nota Storico- Giuridico, 32

[20] Idem..

[21] La Costituzione di Sisto V è riportata da P. GASPARRI, Codicis Iuris Canonici fontes, I, Typis Polyglottis Vaticanis, 1947, 227- 281.

[22] V. CARCEL ORTI, Nota Storico- Giuridico, 32.

[23] Idem.

[24] Per un ulteriore approfondimento della situazione della Chiesa in quel periodo e la sua reazione vedi: G. LANGEVIN,  Synthèse de la Tradition Doctrinale sur la Primauté du Successeur de Pierre durant le Second Millénaire, in Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio Teologico, Roma dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, 1998, 147- 168.

[25] Cfr. Storia della Chiesa, Riforma e Controriforma, vol. VI, diretta da J. HUBERT, Jaca Book, 1975, 3° ristampa 1985, 786s.

[26] Cfr. J. D. MANASI, XXXIV, coll 1871s.

[27] Cfr. BENEDETTO XIV, Costituzione Apostolica Quod Sancta, in Fontes, vol. i, n. 303.

[28] PIUS IX, Epistola “Amantissimus umani generis de cura et sollecitudine in Ecclesiarum orientalium bonum”, 8 Aprile 1862, in CIC Fontes, 2 (n. 533), 955- 961.

[29] Cfr Il Sinodo Provinciale di Albo-Iolain Faktash del 1872, tit. II cap. IV; Il sinodo di Alessandria dei Copti del 1898, sec III cap. I art II e III; e Il sinodo degli Armeni del 1911, 258-259.

[30] Per dare alcuni esempi di queste innovazioni si consultano alcuni documenti, emanati dalla S. Congregazione Concistoriale. Cfr. S. CONGREGAZIONE CONCISTORIALE, Decreto A remotissima (31 dicembre 1909), in AAS, 2 (1910), 13- 16 e S. CONGREGAZIONE CONCISTORIALE, Ordo servandus in Relazione de statu Ecclesiarum, in AAS, 2 (1910), 17-34.

[31] Can. 1 del Codice del 1917 afferma che “Licet in Codice iuris canonici Ecclesiae quoque Orientalis disciplina saepe referatur, ipse tamen unain respicit Latinam Ecclesiam, neque Orientalem obligat, nisi de iis agatur, quae ex ipsa rei natura etiam Orientalem afficiunt

[32] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE “PRO ECCLESIA ORIENTALI”, Codificazione Canonica Orientali, 89/ 31, 4 e  M. M. WOJNAR, The Code Oriental Canon LawDe Rittibus Orientalibus and De Personis”, in The Jurist, 19 (1959), 413- 464, 424.

[33] M.P. CS. cann. 405- 408.

[34] Cfr. Nuntia, 9 ( 1979), 24- 28 e 19 (1984), 59- 60.

[35] AAS, 96 (2003), 825-924.

[36] CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio Per Il Ministero Pastorale dei Vescovi, Città del Vaticano 2004.

[37] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Pastores gregis,.n.57.

[38] Per un elenco di tali fonti vedi: LEGES ECCLESIAE Post Codicem Iuris Canonici Editae, Vol. IX, a cura di D. ANDRES GUTIERREZ, Editiones Instituti Iuridici Claretiani, Romae 2001, 13628.

[39] Fonti, fasc. I, pars I, 579.

[40] SACRA CONGREGAZIONE DE PROPAGANDE FIDE, 12 novembre 1696,  Fonti, fasc. I, pars I, 579.

[41] PIO IX, Amantissimus umani generis de cura et sollecitudine in Ecclesiarum orientalium bonum, dell’anno 1862. In Encheridion delle Encicliche, 2, EDB, 449-451.

[42] Idem. 451.

[43] Idem.

[44] Esso è stato il primo sinodo provinciale della chiesa greca cattolica rumena di Transilvania, tenuto a Blaj nel 1972. La Chiesa ha per primate l\’arcivescovo maggiore di Făgăraş e Alba Iulia che ha sede a Blaj. L\’attuale arcivescovo maggiore è Lucian Muresan.

[45] Concilium Primum Provinciale Alba Iuliense et Fogarasiense habitum anno MDCCCLXXII, Blasii, 1881, 20-21.

[46] Il 26 ottobre 1897, il Vescovo Macario ha annunciato al Papa Leone XIII la sua intenzione di inaugurare un Sinodo al Cairo. Il 2 novembre, il cardinale Rampolla, segretario di Stato, ha risposto al nome del Romano Pontefice, dando il consenso di inaugurare un tale Sinodo. Per un ulteriore approfondimento di tale Sinodo vedi: C. DE CLERCQ, Histoire des Conciles, XI, Conciles des Orientaux Catholiques, de 1850 à 1949, New York, 1973, 757- 773.

[47] Questa parte dal Sinodo riguarda il clero, i processi, le pene e i beni ecclesiali. Tale parte è stata approvata nelle sessioni solenni del 9, 21, 24 maggio e 2 giugno 1898. Cfr. C. DE CLERCQ, Histoire des Conciles, XI, Conciles des Orientaux Catholiques, de 1850 à 1949, 773.

[48] Synodus Alexandrina Coptorum habita Cairi in Aegypto anno MDCCCXCVIII, Romae, 1899, 180.

[49] Acta et Decreta Concilii Nationalis Armenorum Romae habiti ad Sancti Nicolai Tolentinatis anno domini MDCCCCXI, Romae, 1913, 152.

[50] Idem 152.

[51] Cfr. I. ŽUŽEK, Canons de Episcopis, in Nuntia,  9 ( 1979), 3.

[52] Ivan ŽUŽEK S.J. nasce a Lubiana (Slovenia) il 2 settembre 1924. Ordinato sacerdote di rito bizantino, a Roma, il 9 aprile 1955, insegna russo e Diritto Canonico al Pontificio Istituto Orientale, di cui diventa rettore (1967-1973). Nominato da Papa Paolo VI Segretario della Pontificia Commissione per la redazione del Codice Orientale, porta a termine nel 1990 l’importante opera legislativa. Il Papa Giovanni Paolo II lo nomina Sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi (1991-1995).

Nel 1969 fonda la Societé du Droit des Églises Orientales. Dal 1967 collabora con il Pontificio Collegio Sloveno e nel 1978 diventa membro dell’Accademia Teologica Slovena. Studioso riconosciuto universalmente per la competenza e lo zelo è consultore di Congregazioni Romane e membro di associazioni scientifiche.

Muore il 2 febbraio 2004.

[53] I. ŽUŽEK, The Ancient Oriental Sources of Canon Law and The Modern Legislation for Oriental Catholics, in Kanon, Acta Congressus 1971, I, Verlag Herder – Wien, 1973.

[54] Cfr. Idem.159.